sabato 18 ottobre 2008

segue ..crisi finanza mondiale.......

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La crisi finanziaria americana ha radici lontane e responsabili certi. Fra poco saranno 79 anni dal 29 ottobre 1929, quel “martedì nero”, quando con il crollo di Wall Street iniziò la “Grande Depressione” e ci si avviò verso il periodo più tragico dell’economia statunitense, dalla quale si uscì solo grazie al “New Deal” di Roosvelt, con lo stato che dettò regole nuove sulla scia della dottrina keynesiana per sviluppare una società capitalistica matura, più democratica e “solidale”. Un intervento forte ma non invasivo dello stato nell’economia, nella tutela dei bisogni sociali, la nascita del “welfare state”, l’abbozzo di autorità regolatrici del mercato speculativo.Poi venne la Seconda guerra mondiale, come meccanicistica evoluzione della crisi del “protocapitalismo” vorace e senza regole, con due visioni del mondo che si confrontarono duramente e senza sconti. Decine e decine di milioni di morti, l’Europa e il Giappone distrutte, la “nuova frontiera” del capitalismo liberale anglosassone che aveva liberato il mondo della spettro nazifascista ora si affermava come unico modello economico, sociale e culturale.Nel più lungo periodo di pace della storia moderna, assistiamo in realtà al disfacimento di quei canoni, al ritorno esasperato di un’ idea del capitalismo “a mani libere”, che viene dall’epoca della presidenza Reagan( proseguita da Bush padre e figlio) e della cosiddetta scuola monetarista di Chigago di Milton Friedman, alla supremazia della finanza sul sistema produttivo: la “carta”, la creatività speculativa fatta di “giochi borsistici” e “scommesse sul futuro” contro la “fatica del produrre”, dello sviluppo industriale, commerciale e dei servizi.A questa visione distorta del neocapitalismo liberista, da non confondere con il neocapitalismo liberale keynesiano dalle connotazione spiccatamente socialdemocratiche, si sono attaccati molti sistemi “satelliti” dell’impero americano: la Gran Bretagna della conservatrice Tathcher prima e del neo-laburista Blair poi, alla Francia di Chirac e Sarkozy, all’Italia di Berlusconi e in parte di Ciampi e Prodi, al Giappone, ma anche i nuovi paesi “liberi” dell’Est europeo orami affrancati dall’”Orso sovietico” ed entrati a testa alta nell’Unione europea con tutto il loro fardello di democrazie incompiute e di pericolosità economico-sociale. Ancor prima di loro, Friedman riuscì ad imporre il suo “sistema monetaristico iperliberista” nel “laboratorio cileno” collaborando attivamente col governo del dittatore Pinochet, portando quel paese alla catastrofe economica e sociale, dopo il golpe sanguinoso dell’11 settembre del 1973.Ha di recente dichiarato il Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, che per affrontare le crisi finanziarie serve ''una piu' forte cooperazione e la condivisione delle informazioni tra le autorita' sia nazionali sia transfrontaliere'', sottolineando inoltre come sia necessaria ''una maggiore trasparenza e un miglioramento dei processi informativi da parte del settore privato per permettere di valutare pienamente le condizioni del sistema finanziario e per formulare una politica economica appropriata''. Ed ha poi proseguito: ''La crisi finanziaria che stiamo affrontando e' una delle piu' dure e complesse dei nostri tempi''. Le sfide saranno sostanziali: restaurare la stabilita' dei prezzi per sostenere la crescita e garantire che i necessari aggiustamenti nei bilanci bancari e in quelli delle famiglie, oltre che la correzione degli squilibri mondiali, avvengano in modo ordinato''. E cio' richiedera' ''un'azione sul fronte monetario, su quello fiscale e su quello normativo'', oltre che un'azione decisiva sul fronte privato”.Se la crisi del ’29 si consumò in quasi una settimana ( iniziò realmente il 23 ottobre per arrivare al culmine appunto il 29 dello stesso mese), questa volta il terremoto finanziario dura da un anno e il precipizio è stato oltrepassato nelle ultime settimane. Rispetto ad allora, però, l’opinione pubblica mondiale ha potuto seguire in tempo reale attraverso tutti i media i risvolti del crack finanziario e l’assenza di responsabilità dell’amministrazione americana con ripetute assicurazioni, poi avveratesi come false, che la crisi era sotto controllo, che non c’erano pericoli di recessioni né di contagio del “virus” per le economie degli altri mercati, specie quelli europei e che grazie agli interventi massicci dello federale con piani di stabilità mostruosi tutto sarebbe tornato nella normalità.Tutte parole propagandistiche spazzate dal vento della recessione che soffia sempre più prepotentemente. Un vento gelido autunnale, che come sempre a scadenze incredibili si abbatte su Wall Street e sulle altre piazze finanziarie mondiali.Nella storia economica il 1929 costituisce un riferimento costante quando si vuole mettere in ri¬lievo una situazione drammatica. Eppure il mondo della finanza ha vissuto tante altre fasi disperate: ad esempio il 1720, il 1873, il 1907, il 1920 e l’autunno del 1987. Alla prima data si lega il crollo del finanziere Law e del suo castello azionario creato con la Compagnia francese delle Indie occidentali. Nel 1873 allo Stock Exchange di New York fallivano, una dietro l’altra, ben cinquantotto commissionarie seminan¬do disperazione tra i risparmiatori e squilibri tra le banche. Poco più di trenta anni passavano e nell’ottobre 1907 si diffondeva una ondata di panico dovuta a totale carenza di liquidità, al punto che il tasso per le proroghe raggiungeva l’incredibile livello del 125%. Poi, nel settembre 1920 Wall Street veniva scossa per un attentato che uccideva trenta persone e ne feriva un centinaio: oscure le finalità. Infine, la crisi mondiale di fine 1987. Tutti eventi pesantissimi per gli speculatori, per chi ha sempre privilegiato il “gioco in Borsa” rispetto all’impiego dei capitali nella ricerca e sviluppo nell’industria e nei nuovi servizi, affermando il primato del “capitalismo a mani libere”, rispetto ai “legacci” delle regole e della trasparenza, del controllo democratico dei sistemi finanziari.Sono così entrate in crisi anche le istituzioni internazionali, mentre le nuove potenze economiche macinano profitti ed estendono la loro presenza proprio sui mercati delle vecchie potenze occidentali: dalla Cina all’India alla Corea del Sud, ai paesi arabi del Golfo, fino alla Libia, tutte economie in espansione, che con i proventi del petrolio e delle loro industrie stanno investendo attraverso i cosiddetti “Fondi sovrani”, ovvero capitali statali o di banche pubbliche controllate da governi certamente poco democratici, oggi sono i veri “nuovi padroni” della finanza mondiale.Bush sta uscendo traumaticamente di scena e un suo “grande amico”, Berlusconi, si barcamena demagogicamente (grazie soprattutto al controllo dei media pubblici e privati, all’assenza progettuale di una sinistra in cerca di sé stessa e ad un macroscopico conflitto di interessi che lo vede padroneggiare anche nella finanza italiana), per non soccombere di fronte alla recessione e alla stagflazione.Come uscire da questa stato di pre-agonia?Certo, a livello teorico e strategico la via da imboccare è quella di un rinnovato impulso ad adottare ricette “keynesiane” adeguate però alla globalizzazione, allo sviluppo massiccio dei media che “democratizzano” il controllo informativo delle masse popolari, alle esperienze europee di separazione moderata e controllata tra intervento dello stato e privatizzazione di alcuni settori fondamentali dell’economia. Ma occorre anche riconsiderare l’abbaglio ideologico che la “Nuova sinistra” continentale ha preso negli ultimi decenni di iper-liberismo, intossicata dalle abbaglianti ricette monetaristiche, con le privatizzazioni a largo spettro: dalle autostrade, ai trasporti, alle reti elettriche, di telecomunicazioni e idriche, per finire ai sistemi di comunicazione pubblica.Su queste basi si misurerà la reale e innovativa forza propulsiva di una sinistra italiana ed europea realmente riformista. Solo così potrà finire la tragica “era berlusconiana”, fatta di estreme semplificazioni mediatiche e demagogia neo-conservatrice, di politiche fascistizzanti, di false riforme istituzionali e di abbattimento dei fondamentali diritti sociali e costituzionali.Dopo l’autunno del “patriarca”, arriva sempre l’inverno delle tribolazioni e dei contrasti sociali, ma sono tappe obbligate per uscire fuori dal tunnel, per assaporare i profumi freschi della primavera e gustare i frutti di una nuova epoca di democrazia e di ripresa economica. Ma deve essere la stessa sinistra, allargata alle sue ali, a proporsi come forza rigeneratrice, osando con la forza dell’immaginazione e la determinazione che viene dalla memoria storica, per modificare drasticamente una società oggi preda dell’imbarbarimento culturale e scoraggiata, dopo anni di tante chimere protese a propagandare facili successi individualistici.
Gianni Rossi

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